2.2.06

E non se ne vogliono andare...

C'e' un luogo comune, nella societa' italiana. L'idea che siano i figli i primi a voler restare a casa, a eludere qualsiasi tipo di responsabilita', per rifugiarsi tra le braccia della colf che e' anche la loro mamma e dell'uomo silenzioso che e' anche il loro papa'.

A questa ovvieta' se n'e' aggiunta un'altra, complice il felice inserimento dei giovani nel mondo nel lavoro: i figli andrebbero via di casa, se avessero i mezzi per farlo.
E questo luogo comune presenta qualche traccia di buonsenso, diciamocelo.

Vorrei parlare invece di quei giovani che desiderano l'indipendenza nonostante l'attuale crisi nel mercato del lavoro. Di quelli che desiderano, comunque, rischiare e impegnarsi per realizzare il proprio progetto di vita, in un ambiente diverso, sganciandosi finalmente dalla perniciosa tutela di mamma e papa'.

Ebbene, volonta', energia, disponibilita' al sacrificio contano poco.
Nati negli anni '80 hanno ricevuto tutto e i genitori, in virtu' dei sacrifici fatti per mantenerli e per 'non fargli mancar niente', ne ostacolano le ambizioni. Convinti che fatica e sudore siano svantaggi da conoscere il piu' tardi possibile. Certi che basteranno il proprio stipendio e l'ala protettrice generosamente offerta, a tutelarli dalle miserie quotidiane della vita.

Abbiamo avuto tutto e dobbiamo continuare a prendere. Da altri. Da loro.
Rimandando il confronto col futuro, l'incontro con le difficolta' di far quadrare il bilancio, si, ma anche con la scoperta della nostra elasticita' mentale, della nostra capacita' di volgerci dal male al bene.

Rifiutandoci inneschiamo un meccanismo di ripicche e di silenzi, di rimproveri e di accuse.
Loro che hanno lavorato per noi.
Loro che sanno cosa significa risparmiare, faticare, rinunciare.
Loro che vogliono posticipare il momento in cui diventeremo finalmente adulti, responsabili, autonomi (sia pure con qualche intoppo).

Noi che dovremmo maturare ed esser pronti a cogliere la giusta occasione, a far nostra la migliore scelta di vita senza compiere il benche' minimo sforzo (e sbattere la testa contro il muro).
Noi che dovremmo ringraziarli per cio' che ci e' stato dato e plasmare la nostra esistenza secondo le loro aspettative.

Domandiamo ai genitori che si lagnano dell'irresponsabilita' filiale cosa desiderano i propri adorati e straviziati pargoli.
Farfguglieranno qualcosa d'incomprensibile e cambieranno argomento.

Perche' dare inizio a una nuova vita e' l'atto piu' altruistico ed egoistico di cui e' capace l'essere umano.


Ps: c'e' chi la pensa come me

12 commenti:

Anonimo ha detto...

nati negli anni '80... uhmmmmm

quando avevamo vent'anni di meno

noi degli anni '60

rainbowsparks ha detto...

è un bel casino,io sono la figlia esatta di questo conflitto.
Vivo sotto l'ala protettrice di papà,spinta verso l'indipendenza dalla mamma e continuamente incerta tra l'andarsene e il restare.
Che ne sarà di noi?

Anonimo ha detto...

Almeno voi degli anni sessanta siete stati fortunati e siete cresciuti meno viziati di noi.

AnonimaMente

Miss Quarrel ha detto...

Io ringrazio il "caso" di avermi dato due genitori che m'hanno insegnato la dignità del lavoro e dell'indipendenza. E che non si sono mai opposti alle mie scelte, supportandole "a prescindere" e chiedendo solo di avere delle spiegazioni ragionevoli per ognuna di esse.

Condivido la soglia temporale che hai scelto come discriminante, gli anni '80: da questo punto di vista (e da altri) mi ritengo fortunata di essere una 70's del primo lustro - senza arrotondare per eccesso.

: )

Anonimo ha detto...

dillo a me che a 31 anni suonati e nonostante viva da più di 10 anni a 1000 km dai miei genitori, non sono ancora riuscito a fargli capire che il cordone ombelicale è stato reciso da un bel pezzo...

PiB ha detto...

il mestiere dei genitori è il più difficle del mondo...come del resto quello di figli

Anonimo ha detto...

problemi con i tuoi?

Io sono andata a vivere da sola quasi 4 anni fà, a 28 anni). lavoravo già da quando ne avevo 21 e tuttosommato potevo anche fare già il grande passo, se non fosse che mi sentivo sempre incerta sul mio andamento lavorativo. Anche ora non c'è male. Anzi sono molto più in difficoltà di prima. Questo mese non ho neanche preso lo stipendio perchè dove lavoro non ci sono più soldi. Urrà! Mia madre mi ha sempre spinta a lavorare quando io avrei voluto farmi mantenere da lei gli studi e trascorrere i miei 20 anni in pace come tutti i miei amici. Però questo spirito d'indipendenza forse non l'avrei avuto. Quando ho deciso di andarmene ovviamente mia madre si è intristita perchè sarebbe rimasta sola. Classico. Adesso invece sta bene e neanche mi ci vuole a casa! Ma dimme te...

Undine ha detto...

Eh sì, questo post è leggermente "personale". Scrivendolo ho pensato alla situazione mia e di altre persone che conosco.Probabilmente la generazione d'appartenenza è una discriminante, di certo noi degli anni '80 siamo poco meno coccolati del cane di Paris Hilton.
Sono arrivata a sospettare che siano loro a non voler star da soli, sapete?
Altrimenti non mi spiego come si possa impedire (con diverse astuzie psicologiche) a un figlio di maturare e farsi le ossa.
Non lo so.
Ragazzi, oggi sono girata MALE, malissimo.
Spero di rivedere Gugi in TV, così mi ripiglio un po'.

derbeer ha detto...

Poi ci sono quelle come me che, pur avendo un buon lavoro fisso da quasi 8 anni (ma in fondo lavoro da 11...), una casa vuota già pronta che mi aspetta a 20 metri da dove sto ora, non mi decido ad andarmene.
Non tanto perchè non ho voglia di "faticare" a casa, ma forse solo perchè sono pigra.
O più che altro perchè mi piace l'idea che ci sia sempre qualcun altro in casa e io non ho molti amici da invitare.
E poi so che i miei non hanno nessuna voglia che me ne vada...

valentina ha detto...

A volte sono tutti e due, figli e genitori, a non volersi "mollare" a
vicenda.
Proprio l'altra sera, in quella trasmissione sullo scambio delle mogli,
c'era una famiglia dove la madre (orfana e senza parenti stretti) accudiva
in modo morboso i figli, tra cui uno, disoccupato e intenzionato a rimanere
lì, servito e riverito. Una situazione paradossale, a mio modo di vedere, e la colpa è soprattutto dei genitori.
Io sono uscita di casa a 27 anni ed è stato pure tardi, per i miei gusti.
v

artemisia ha detto...

Oh che bel tema tutto italiano, brava Undine!
Lasciando da parte la mia storia personale che non fa testo (ho perso i genitori molto presto)io penso questo: in questo fenomeno italianssimo ci sono molte componenti. La cultura dell'indipendenza è generalmente poco sviluppata in Italia, c'è il concetto che aiutare i figli significhi spianare loro la strada in tutti i modi. Poi non esistono i sostegni economici (in Norvegia chiunque frequenta un college o un'università riceve un assegno mensile dallo stato per vivere, in parte prestito e in parte borsa di studio). Ma principalmente è la cultura che è diversa. Qui se hai venticinque anni e stai con i tuoi sei strano. Cosa sia meglio è difficile dirlo, ma io credo che senza ostacoli e responsabilità non si cresce, e noto in molti ragazzi italiani (io che sono nata negli anni sessanta, Undine...potresti essere mia figlia!) una grande immaturità.

Undine ha detto...

Simo, complimenti per la sincerità.
La situazione che hai descritto è quella che più temo, sai? Sono principalmente i vantaggi economici a influenzarci. Sta a noi avere coraggio (che si traduce in soldi, per dirla con Jack) per prendere una decisione. E per affrontare i sacrifici che si presenteranno numerosi...

Alcuni genitori hanno bisogno di sentirsi utili.